LCA Life Cycle Assessment
Per una valutazione completa degli impatti ambientali connessi con la realizzazione di un prodotto, la comunità scientifica internazionale ha da tempo sviluppato una metodologia definita Analisi del Ciclo di Vita (Life Cycle Assessment – LCA). Questa “studia gli aspetti ambientali e i potenziali impatti lungo l’intero ciclo di vita di un prodotto (dalla culla alla tomba): dall’acquisizione della materia prima passando attraverso la produzione, il suo utilizzo e la sua successiva dismissione” (ISO 14040, 2006).
Poiché i calcoli di LCA devono, per definizione, essere implementati su tutti i processi che concorrono alla realizzazione del prodotto, uno dei fattori più importanti su cui deve essere raggiunto un accordo a livello internazionale è la definizione dei cosiddetti “Confini del Sistema”, che definiscono il processo che deve essere considerato come fase iniziale del prodotto stesso (la culla) e quello che ne determina la fine (la tomba). Il processo di concia comprende vari processi chimici e meccanici che hanno lo scopo di trasformare la materia organica putrescibile (pelli grezze) in prodotti ad alto valore aggiunto, strategici per settori come calzatura, moda, arredamento, trasporti.
Tale dato è cruciale per la definizione dei confini del sistema. La principale questione su cui il settore ha effettuato approfondimenti di natura tecnica e scientifica è rappresentata dall’inclusione/esclusione dei processi a monte della conceria, con riferimento specifico all’agricoltura e all’allevamento degli animali, che in alcuni casi possono rappresentare fino al 80% della Carbon Footprint e fino al 99% della Water Footprint.
Per una attenta analisi dei confini del sistema del prodotto pelle, in base alle vigenti regole di calcolo LCA, la prima considerazione da effettuare si riferisce alla natura delle pelli grezze. È importante, ai fini dei calcoli, determinare se le pelli grezze sono da considerarsi un rifiuto dell’industria a monte (della carne) o un suo co-prodotto/sottoprodotto. Nel caso in cui le pelli grezze fossero considerate come rifiuti dell’industria a monte, l’intero impatto ambientale dovrebbe infatti essere allocato sul prodotto principale della catena del valore sviluppata sino a quel momento, con l’esclusione di agricoltura e allevamento dai confini del sistema negli studi LCA sulla pelle.
La legislazione internazionale considera principalmente le pelli grezze come sottoprodotti dell’industria alimentare. Ne è un chiaro esempio la legislazione europea (Reg. 1069/2009, Reg. 142/2011 sui sottoprodotti di origine animale). In quest’ottica diviene fondamentale analizzare più in dettaglio la natura dei diversi processi che hanno portato alla generazione del sottoprodotto. In particolare, la letteratura scientifica sull’LCA, disponibile a livello internazionale, affronta il caso dei co-prodotti (sottoprodotti) di origine rinnovabile, definendolo come un problema tecnico ad alta complessità il quale, però, risulta facilmente comprensibile rispondendo a due domande:
Le pelli grezze sono sottoprodotti di origine rinnovabile?
e
Le pelli sostituiscono, almeno in parte, altri prodotti?
Per rispondere alla prima domanda, deve essere dapprima analizzato un generico processo di co-produzione. In ogni processo che genera uno o più co-prodotti (sottoprodotti) esiste infatti un prodotto che è definito determinante. Il prodotto determinante è quello che, appunto, determina il volume di produzione del processo stesso. Se non fosse per la produzione di quel prodotto, il processo non si avvierebbe. Ci può essere un solo prodotto determinante in uno specifico momento. Nel caso specifico della filiera della concia, oltre il 99% della materia prima utilizzata (le pelli grezze) ha origine bovina ed ovicaprina, la cui disponibilità è legata al consumo di carne e, di conseguenza, alle dinamiche di macellazione degli animali. Si può quindi affermare che il prodotto determinante non è la pelle, bensì la carne.
Data poi la definizione di risorsa rinnovabile, “una risorsa naturale con la capacità di riprodurre attraverso processi biologici o naturali e riprodotta con il passare del tempo”, si può affermare che le pelli grezze sono, nella quasi totalità, sottoprodotti di origine rinnovabile.
Rispondendo alla seconda domanda, data la composizione dei materiali realizzati utilizzando le pelli finite, è facile affermare che la pelle stessa fornisce la principale alternativa ad altri materiali (per lo più sintetici) nella realizzazione dei manufatti (calzature, pelletteria, abbigliamento, interni auto, imbottiti).
In conclusione, si potrebbe quindi affermare che nel caso della pelle realizzata con materiali grezzi provenienti da animali allevati per altri consumi umani (produzione lattiero-casearia, lana, carne), il confine del sistema sia il macello, dove le attività e i trattamenti sono effettuati al fine di preparare le pelli da utilizzare per la concia (ad esempio: la conservazione delle pelli per mezzo di sistemi di raffreddamento o di salatura), per terminare davanti ai cancelli della conceria. In altri termini, se gli animali sono allevati per carne, latte o lana e non per le loro pelli, solo a quei prodotti (e non alla pelle) devono essere ascritti gli impatti ambientali connessi con agricoltura e allevamento.
Questo però, purtroppo, non è stato l’approccio utilizzato in alcuni importanti progetti di LCA che sono stati condotti a livello internazionale negli ultimi anni in alcuni specifici ambiti di valutazione, normazione e certificazione (PEF, EPD, ISO), dove è stato deciso che, nonostante la sua natura di sottoprodotto, l’LCA della pelle, dato che questa ha comunque un valore economico, dovesse includere anche parte dell’impatto generato nelle fasi di allevamento dell’animale.
PEF (Product Environmental Footprint)
Nel 2013 l’industria conciaria europea, inclusa quella italiana, ha partecipato alla fase pilota dell’iniziativa Single Market for Green Products della Commissione Europea per la definizione di un metodo unico per la valutazione dell’impatto ambientale dei prodotti commercializzati negli stati membro, la PEF (Product Environmental Footprint). Alle filiere che hanno aderito all’iniziativa, il compito di sviluppare le regole specifiche per il proprio settore industriale, le PEFCR (Product Environmental Footprint Category Rules).
La PEF è uno strumento di (auto)diagnosi aziendale, che fornisce un criterio per individuare gli impatti ambientali di processi e prodotti, con l’obiettivo generale di ridurli, tenendo conto delle attività della catena di approvvigionamento (origine di materie prime, alla produzione, all’uso e alla gestione finale dei rifiuti).
L’analisi deve essere condotta per 16 categorie di impatto ambientale, utilizzando per ciascuna il metodo di calcolo considerato più affidabile, e permette alle aziende di approfondire l’origine degli impatti ambientali e pianificare le possibili azioni di miglioramento. Queste azioni però possono riguardare solo le fasi su cui la conceria ha o può avere un controllo diretto e non gli impatti derivanti da agricoltura e allevamento.
La valutazione della PEF impone, come accennato in precedenza, un’analisi dell’intera filiera di prodotto per cui, oltre ai processi su cui la conceria ha o può avere un controllo diretto, vanno considerate tutte le fasi a monte (upstream), a partire dall’allevamento degli animali. Una porzione del loro impatto va quindi allocata ai diversi prodotti che ne derivano, seguendo regole prestabilite basate su diversi criteri.
il settore conciario per i motivi sopra descritti (sottoprodotto di origine animale e impossibilità di influenzare le fasi a monte, agricoltura e allevamento), nell’ambito della discussione sui confini delle PEF, ha invece sostenuto la “zero allocation” per la pelle grezza.
La Commissione Europea, però, ha stabilito che tutti i prodotti che abbiano un valore economico non possono essere trattati come rifiuti, respingendo così definitivamente la proposta di “zero allocation” e costringendo il settore a farsi carico di una porzione dell’impatto ambientale delle fasi a monte che, seppur irrisoria in termini percentuali (sull’impatto totale dell’allevamento dell’animale), risulta avere un peso enorme per alcune categorie di impatto ambientale.
Il calcolo dell’impronta ambientale è fortemente influenzato dalla disponibilità di dati primari e, in alternativa, dalla qualità e dalla specificità dei dati presenti nei database commerciali specializzati in analisi ambientali. Fattori, questi ultimi, che, soprattutto per le fasi a monte della conceria (allevamento e agricoltura), introducono notevoli approssimazioni, portando a impatti di default estremamente e ingiustificatamente pesanti.
Nel 2023 UNIC ha deciso di continuare a partecipare all’iniziativa PEF, aderendo al progetto di revisione della stessa. Ma la persistente mancanza di volontà da parte della Commissione Europa di rivedere, sulla base di dati più reali e attuali, le percentuali di allocazione relative alle fasi upstream e l’impossibilità di utilizzare dati primari (in un contesto in cui i dati di default dei database non risultano affidabili) ci hanno portata, nella primavera del 2024, all’amara decisione di abbandonare il progetto e, per il momento, non sostenere più l’iniziativa. Riteniamo infatti che non sia in grado di dare una fotografia reale e corretta dell’impatto della produzione di pelle.
UNIC sta attualmente lavorando su altri schemi alternativi, in grado di analizzare e rispecchiare in maniera più fedele ed oggettiva il ciclo di vita nel nostro prodotto, sempre basandosi sulla collaborazione di tutti i soggetti coinvolti nella catena del valore, attraverso la condivisione di dati, con importanti benefici reciproci in termini di affidabilità, riproducibilità e comparabilità dei risultati.