Gestione del cromo
CIRCA L’85% delle pelli prodotte attualmente nel mondo sono conciate al cromo.
Ciò è dovuto alle prestazioni superiori delle pelli al cromo, sia per l’elevata stabilità delle fibre di collagene saldamente legate al cromo, sia per i vantaggi del processo di lavorazione: relativamente rapido, conveniente e facilmente riproducibile, oltre che il più conosciuto.
Il cromo è un elemento metallico, naturalmente presente in natura nello stato di ossidazione trivalente, sotto forma di cromite.
Oltre ad essere essenziale per alcuni processi metabolici dei mammiferi, è utilizzato in processi e applicazioni per molti beni di consumo: leghe metalliche, pigmenti per vernici e tinteggiature, cosmetici, imballaggi.
Fino ad oggi, gran parte della ricerca chimica conciaria, soprattutto quella fine (post concia), è stata incentrata sulle pelli conciate al cromo; tale conoscenza approfondita ne permette una corretta ed efficiente gestione sia in termini di processo che di attività di riciclo e recupero.
La stragrande maggioranza del cromo estratto è impiegato nell’industria dell’acciaio inossidabile di alta qualità e degli articoli cromati.
Nei processi di concia, per stabilizzare la pelle, si utilizza il cromo nel suo stato di ossidazione +3 o cromo trivalente, Cr(III), sottoforma di solfato basico di cromo.
Meno del 2% del cromo estratto annualmente è destinato al settore conciario.
Per ottimizzarne l’utilizzo, si è pertanto studiato e realizzato un processo di riciclo del cromo, applicato in particolare nel distretto toscano, ad opera di Aquarno-Consorzio Recupero Cromo, che permette di diminuire il consumo di materie prime vergini.
È stato accertato che della quantità di cromo utilizzato per il conciare, di norma solo i 2/3 si fissano al collagene della pelle mentre la parte non reagita resta nel bagno refluo, costituendo un problema di smaltimento.
I liquidi e fanghi derivanti dai processi di concia, prima di essere riutilizzati, devono essere sottoposti a opportuni trattamenti di depurazione, regolati per legge.
L’impianto di Aquarno, oltre alla depurazione, è in grado di recuperare il cromo da questi residui di lavorazione.
Questa attività permette il riutilizzo di cromo come materia prima seconda per nuovi processi conciari ed evita lo smaltimento in discarica dei fanghi che, privati del cromo, possono essere utilizzati per altri scopi.
Dai processi per il recupero del cromo si ottiene solfato basico di cromo liquido la cui concentrazione è circa al 10 %. La produzione potenziale giornaliera dell’impianto è di oltre 21000 kg, riutilizzati nella fase di concia da parte delle aziende consorziate.
Quando si parla di rischi per la salute legati all’utilizzo di cromo nel settore conciario, è bene distinguere le forme di ossidazione che può assumere questo elemento e le relative problematiche.
Come spiegato in precedenza, per i processi di concia viene utilizzato il cromo nel suo stato di ossidazione trivalente Cr(III), sotto forma di solfato di cromo.
In conceria il solfato di cromo è gestito secondo quanto previsto dalla legislazione italiana in materia salute e sicurezza.
Per quanto riguarda il prodotto finito, gli effetti del cromo (Cr(III)) sulla salute non sono pericolosi: basti pensare che i pigmenti a base di ossido di Cr(III) sono ampiamente utilizzati anche come colore verde per i tatuaggi, senza per questo dar luogo a reazione di ipersensibilità della pelle o del corpo in generale (si consideri che gli individui coinvolti sono ormai decine di milioni).
Spesso quando si parla di cromo in relazione ad articoli di pelle, la forma ossidata del cromo (Cr (VI)) è chiamato in causa dai detrattori del settore conciario; è necessario pertanto fare chiarezza sulla base dei dati scientifici esistenti.
Il Cr(VI), di per sé, è sospettato di essere teratogeno ed è classificato come cancerogeno 1A (IARC) per quasi tutti gli organismi viventi (tra cui anche gli esseri umani).
I suoi composti sono molto tossici se ingeriti o se inalati ma questi casi non riguardano gli articoli in pelle.
Nel caso di diretto contatto con la pelle umana del cromo possono manifestarsi fenomeni di sensibilizzazione, Dermatiti Allergiche da Contatto (DAC).
Il contatto della pelle umana con il cromo e i suoi composti avviene attraverso bigiotteria, leghe, cemento, cuoio, prodotti chimici, anticorrosivi, ceramica, legno, pitture e vernici, mordenti e coloranti, batterie e nastri magnetici, detersivi e detergenti, ecc.
Il cuoio è solo uno dei numerosi materiali in cui è presente cromo
Le pelli conciate al cromo rappresentano oltre l’85% delle pelli prodotte nel mondo, ciononostante sin dal primo impiego di questa tecnica conciaria non sono mai stati segnalati casi di problematiche di salute diffuse a livello mondiale legate al cuoio prodotto in questo modo.
Le motivazioni tecnico scientifiche sono varie.
Come evidenziato in questo studio condotto dal dott. Angelo Moretto, Direttore dell’UOC Medicina del Lavoro dell’Azienda ospedaliera e professore di Medicina del Lavoro dell’Università di Padova, una percentuale molto bassa della popolazione mondiale è soggetta a rischi di sensibilizzazione DAC dovute alla presenza di Cromo negli articoli in pelle.
Per la reazione cutanea allergica è rilevante per il tasso di rilascio, piuttosto che la quantità di cromo nell’articolo.
Basse quantità di Cr(III) e Cr(VI) possono essere rilasciate dalla pelle conciata al cromo.
Nelle condizioni “normali” di cuoio con valori di pH compresi tra pH 3,2 e 3,5 e concentrazione di Cr(III) estraibile compresa tra 50 e 500 ppm (valori generalmente considerati standard per pelli conciate al cromo) ad una temperatura inferiore a 100°C, l’equilibrio elettrochimico tra Cr(VI) e Cr(III) è spostato quasi completamente dalla parte della forma sicura di Cr(III), pertanto, il rischio di rilascio di Cr(VI) è pressoché irrilevante, anche in presenze di residuali frazioni di cromo libero.
Il cuoio, inoltre, essendo costituito per oltre il 95% del suo peso da proteine di collagene, è naturalmente dotato di un meccanismo autoriducente che impedisce l’ossidazione del cromo III a cromo VI.
Solo in rari casi, pelli inadeguatamente conservate e sottoposte a condizioni estreme (alte temperature, radiazioni UV, variazioni del pH), il Cr(III) non reagito e residuo nel prodotto può ossidarsi a Cr(VI), cioè a cromo esavalente.
Nell’eventualità di rilascio di cromo, il Cr(III) è rilasciato in quantità maggiori, ed è un sensibilizzante molto meno potente del Cr(VI) poiché ha una minore permeabilità cutanea e di conseguenza, meno frequentemente provoca dermatiti allergiche (fonte ISSN Rapporto ISTISAN 9/12).
In generale si può riassumere che il Cr(III):
La concentrazione di Cr(VI) eventualmente rilasciata, invece, non è sufficiente a provocare una reazione cutanea per una serie di motivi.
Innanzitutto, come stabilito dal Regolamento REACh 1907/2006 All. XVII Entry 47, ad oggi il limite di presenza di Cromo VI ammesso nel cuoio è 3 ppm (o mg/Kg), limite oltre il quale le pelli non possono essere commercializzate.
Come dimostrato anche nello studio inviato a supporto dei commenti sulla proposta di restrizione delle sostanze sensibilizzanti della pelle, scaricabile a pagina 95 del seguente link del sito di ECHA, i limiti attuali imposti da REACH, oltre a essere più che sufficientemente cautelativi, sono anche basati su supposizioni errate. Come evidenziato, il rischio di dermatiti allergiche dovute a contatto diretto del cromo VI con la pelle avrebbe una soglia di sicurezza fino a esposizioni di 25 ppm (8 volte superiori al limite di legge!).
Il cromo non è la sola sostanza a cui attribuire la causa di DAC
La DAC spesso è attribuita, come opzione “predefinita”, alla presenza di cromo negli articoli in pelle, senza considerare che la pelle conciata è il risultato della combinazione di più sostanze e in particolare, se la qualità delle pelli è molto bassa, e non è questo il caso delle pelli prodotte in Italia, vi possono essere altre sostanze che possono causare reazioni cutanee allergiche/irritative.
L’industria della pelle italiana però non si è fermata a queste conclusioni e per perseguire il suo impegno ai fini della prevenzione del consumatore e della salute dei lavoratori ha imparato a gestire e controllare efficacemente il potenziale rischio proveniente dall’ossidazione del Cr(III) a Cr(VI) già a partire dagli anni ‘90.
I consumatori utilizzano, infatti, il capo in pelle nelle condizioni più disparate in termini di temperature calde e fredde, umidità relativa, contatto con la pelle, sudore e ammollo d’acqua.
Di conseguenza, la preoccupazione generale è relativa alla possibile ossidazione del Cr(III) libero (non legato al collagene) rilasciato dalla pelle (dai 200-500 mg/kg in su) a più di 3 ppm di Cr (VI).
La sicurezza del consumatore è garantita dall’adozione di buone prassi di lavorazione (indicate anche dall’ECHA) applicate nella produzione dei pellami e dei manufatti.
Ulteriori controlli lungo la catena di approvvigionamento verificano la qualità del cuoio e la non rilevabilità del cromo (VI) negli articoli in pelle.
Ogni anno le concerie eseguono migliaia test di controllo, sia sui prodotti finiti che dopo trattamenti di invecchiamento.
Solo in rarissimi casi , dovuti per lo più ad una non adeguata qualità del semilavorato prodotto importato da fuori Europa, si riscontrano casi positivi di Cr(VI) sulle pelli italiane, sempre e comunque valori molto bassi, nell’intorno di 3 mg/kg.
Unic, a supporto della filiera, è da sempre impegnata in progetti per la standardizzazione delle prassi per la prevenzione e nella ricerca riguardo i rischi dovuti alla formazione di cromo VI.
Linee guida con Federchimica CrVI
Numerosi i progetti svolti dal settore sulla tematica: uno di questi ha visto la collaborazione tra UNIC e Federchimica per la stesura delle “Linee Guida per evitare la formazione di cromo VI“, in cui si descrivono le buone prassi operative messe in atto dalla filiera della pelle italiana per evitare l’insorgere nel pellame di condizioni che potrebbero favorire la formazione del cromo esavalente: nel tempo, la loro applicazione ha ridotto al minimo il rischio di ossidazione del cromo.
Ricerca UNIC con Poteco, Politecnico di Milano e SSIP su ingrassanti e antiossidanti/riducenti
Per approfondire lo studio dei meccanismi che inducono la formazione di Cr(VI), si è intrapresa una ricerca in più riprese focalizzata sullo studio della reazione di ossidazione da Cr(III) a Cr(VI), alle sue cause e ai possibili rimedi.
La prima fase della ricerca, svolta in collaborazione con Poteco e Politecnico di Milano, ha individuato prodotti antiossidanti, in grado di impedire o attenuare il processo di ossidazione, anche in condizioni di stress termico-UV portato ad estreme condizioni.
Sono in corso al momento, dopo prove preliminari su Sali di cromo e polvere di pelle standard svolte dal Politecnico di Milano, ulteriori sperimentazioni su pelli in scala laboratorio da SSIP-Stazione Sperimentale per L’Industria delle Pelli, cui seguiranno le prove in conceria su pelli intere.
Partecipazione di UNIC come membro CEN per lo sviluppo dei metodi chimici e fisici per analisi del cromo IV nella pelle
Per quanto riguarda il metodo per la determinazione del Cr(VI), UNIC ha collaborato negli anni con il gruppo di lavoro CEN-WG1, metodi chimici per la pelle, per eliminare le interferenze del metodo dovute alla presenza di coloranti.
Successivamente, ha collaborato con università (Como e Northampton) e politecnico di Milano per lo studio di un metodo di determinazione del Cr(VI) nelle polveri in ambiente di lavoro conciario (rasature), in alternativa al metodo NIOSJH ufficiale che causava la formazione di risultati falso-positivi.