Lotta alla deforestazione
Nonostante il materiale “pelle” nasca nei macelli, dove le pelli grezze, scarto dell’industria della carne, vengono recuperate dagli operatori della nostra filiera, il principio della supply chain può essere ricondotto, per la valutazione di alcuni aspetti specifici di sostenibilità, anche alla parte upstream della filiera carne, cioè all’allevamento dell’animale.
A questo proposito, è ovviamente ESSENZIALE considerare che la natura di sottoprodotto della pelle crea una distanza forte e, per molti versi, incolmabile tra gli operatori della filiera pelli vera e propria e gli allevamenti, dato che la pelle, in questa fase, di per sé non esiste come bene. E questo impedisce che le richieste e, in generale, le eventuali istanze delle concerie possano arrivare agli allevamenti e stimolare concretamente cambiamenti nelle relative pratiche e processi di produzione.
Nonostante tale innegabile caratteristica della nostra supply chain, la relazione che comunque intercorre tra la pelle e la vita dell’animale originario porta il settore conciario a interessarsi alle eventuali contestazioni di talune pratiche di allevamento sul piano della sostenibilità. L’inclusione dell’allevamento bovino tra le presunte cause di deforestazione e conversione dei terreni rientra in questo contesto e spinge la filiera pelli a considerare anche questo aspetto nei propri parametri di sostenibilità.
Consapevole di tali criticità nella gestione in piena trasparenza delle catene di fornitura a monte della conceria, soprattutto in alcune aree del globo particolarmente a rischio di deforestazione, da oltre 15 anni UNIC sostiene l’industria conciaria e l’intera supply chain nei suoi progetti e azioni per eliminare possibili collegamenti con aziende agricole creati o sviluppati attraverso pratiche di deforestazione illegale (in particolare in Sud America).
Parte di questi obiettivi di tracciabilità è stata perseguita attraverso la collaborazione con le organizzazioni non governative NWF (National Wildlife Federation) e WWF (World Wide Fund for Nature), che ha portato nel 2019 al DCF (Deforestation and Conversion Free) Leather Project, che mira a tracciare tramite un sistema di mappatura gli allevamenti, per confermare che non si trovino in zone del Sud America colpite da deforestazione illegale.
Inoltre UNIC, in collaborazione con CICB, l’associazione dei conciatori brasiliani, ha favorito il dialogo e la partnership fra ICEC e National Wildlife Federation attraverso la quale è stato possibile sviluppare un sistema di valutazione completo da applicare alle pelli provenienti dall’Amazzonia (Brasile e Paraguay) da integrare con le certificazioni ICEC TS 410 e ICEC TS412: queste vengono rilasciate contestualmente all’adozione da parte di tutta la supply chain di politiche pubbliche di approvvigionamento basate sui criteri Deforestation and Conversion free DCFL.
Le nuove legislazioni contro la deforestazione – Il Regolamento UE anti-deforestazione n.1115/2023 (EUDR)
Dal 2019 l’Unione Europea ha improntato la propria azione politica alla sostenibilità ambientale, economica e sociale. A tal fine, è stato adottato il Green Deal europeo, nel solco del quale sono state successivamente delineate la strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 la strategia forestale dell’UE e la strategia dal produttore al consumatore fino a culminare nel Regolamento anti-deforestazione n.1115/2023 (EUDR). Quest’ultimo provvedimento mira da un lato a creare un incentivo alle aziende che operano nel mercato comune ad evitare fonti e fornitori ad alto rischio di deforestazione, degrado forestale ed illegalità e dall’altro impegna la Commissione Europea a collaborare con i Paesi valutati ad alto rischio affinché, tramite investimenti e politiche mirate, possano in futuro migliorare il proprio profilo di rischio.
Il regolamento impone stringenti obblighi agli operatori europei che commercializzano e immettono per la prima volta sul mercato UE i prodotti interessati dalla norma, tra i quali la pelle bovina (ex CH 4101, 4104, 4107), imponendo agli operatori di verificare, tramite “due diligence”, che suddetti beni provengano da aree in cui non si sono verificati fenomeni di deforestazione, degrado forestale o illegalità dopo il 31 dicembre 2020. Per adempiere a questi obblighi, gli operatori dovranno ottenere i dati di geolocalizzazione di tutti gli appezzamenti in cui sono state prodotte le materie prime e i prodotti interessati: se l’esito della due diligence è positivo, gli operatori dovranno inserire i dati di geolocalizzazione in un sistema informatico creato e gestito dalla Commissione UE (ancora in fase di test) e, al termine, notificare la relativa dichiarazione che attesti il successo dell’analisi condotta. Al contrario, se l’esito della due diligence è negativo, l’operatore dovrà astenersi dal commercializzare i prodotti interessati.
Nella pratica, i requisiti EUDR imporranno alle concerie di conoscere, con una granularità finora impensabile, i dati di geolocalizzazione di tutti gli stabilimenti in cui è stato tenuto il bovino, anche quand’era in vita (allevamento/i, macello, altri stabilimenti che hanno trattato/commercializzato le pelli bovine a monte della conceria, conceria).
Tutto questo senza considerare il fatto che la pelle bovina è stata inclusa nella lista dei prodotti interessati dal Regolamento senza alcuna analisi di impact assesment (per valutarne tutte le possibili conseguenze) da parte della Commissione, e in modo ingiusto, perché la pelle bovina è un Sottoprodotto di Origine Animale (ex Reg. UE 1069/2009), cioè uno scarto dell’industria alimentare che le concerie recuperano (evitandone così lo smaltimento come rifiuto). La pelle, dato il suo valore minimo rispetto all’animale, non è quindi un driver, una causa dell’allevamento bovino, e non può tantomeno ritenersi un driver dell’eventuale deforestazione causata dall’allevamento bovino. E quindi viene a mancare il motivo alla base della sua inclusione nel Regolamento EUDR.
Se, per le pelli prodotte nei territori dell’UE, il già presente tracciamento dell’animale per finalità di salute e sicurezza alimentare (carne) potrebbe supportare le attività volte a conformarsi all’EUDR, nella quasi totalità delle aree extra-UE da cui provengono le pelli bovine importate nell’UE, ad oggi (giugno 2024), la creazione e l’implementazione della tracciabilità richiesta per ottemperare ai requisiti dell’EUDR è sostanzialmente impossibile, sia per le caratteristiche tipiche della filiera carne in quelle aree, sia per ragioni di riservatezza dei dati di tracciamento, sia, in generale, per il valore minimo delle pelli grezze al macello (non dimentichiamoci mai che si tratta di un semplice scarto che viene recuperato, aspetto di circolarità che è alla base della sostenibilità del materiale).
Il forte rischio, quindi, è che l’EUDR si trasformi, nel migliore dei casi (UE), in un inutile aggravio di costi per la tracciabilità, e, nel peggiore (extra UE), in un inutile blocco totale delle importazioni di pelli in Europa.
Normative simili sono attualmente in discussione anche nel Regno Unito e negli USA, ma l’approccio in questi casi appare più sostanziale e pragmatico, e tiene in maggiore considerazione le finalità concrete e la fattibilità dei requisiti richiesti.
Dato che l’inclusione della pelle bovina nello scopo del regolamento EUDR è avvenuta senza che la Commissione UE eseguisse un’analisi sullo specifico impatto economico (impact assesment) che tali misure avrebbero avuto per le imprese europee (unico caso tra i beni inclusi nel regolamento), la Scuola Superiore Sant’Anna dell’Università di Pisa ha condotto uno studio intersettoriale sulle potenziali conseguenze e ripercussioni di questa inclusione per la filiera pelle europea.
Lo studio, dal titolo “Socio-economic and Environmental Analysis of the Effects of Regulation 2023/1115/EU on the European Leather Sector”, destinato a diventare uno strumento cruciale nella prossima revisione del Regolamento Europeo sulla Deforestazione (EUDR) è disponibile di seguito: